1535 - 1749
Alla morte senza eredi di Francesco II, giunta nel 1535, il Ducato di Milano avrebbe dovuto essere devoluto all’Impero per venire nuovamente infeudato. La delicata situazione politica dell’epoca, tuttavia, spinse Carlo V a mantenere il Milanese sotto il suo diretto controllo, soprattutto al fine di contrastare le mire espansionistiche francesi. L'imperatore decise di procedere all'infeudazione in favore del figlio Filippo solo nel 1546, atto reso ufficiale nel 1549. Il passaggio ai domini spagnoli dello Stato di Milano, denominazione alternativa a Ducato, divenne definitivo nel 1556, con l’ascesa di Filippo II al trono di Spagna.
In seguito agli smembramenti subiti durante le guerre d’Italia, il territorio dello Stato di Milano era limitato alle province di Milano, Pavia, Lodi, Cremona, Como, Novara, Tortona, Vigevano e Alessandria, estensione che sarebbe rimasta sostanzialmente immutata sino alla guerra di successione spagnola, per subire ulteriori riduzioni nel corso della prima metà del XVIII secolo.
[espandi/riduci]L’ingresso del Milanese tra i domini della corona di Spagna segnò una cesura rispetto al precedente Ducato visconteo-sforzesco sul piano politico e dinastico, ma anche, in parte, a livello istituzionale. L’organizzazione periferica dello Stato continuò a poggiare, come da tradizione, sulle oligarchie cittadine, alle quali era assegnata un’ampia giurisdizione sul rispettivo contado in merito a una vasta gamma di materie. Tra tutte le città si distingueva Milano, il cui patriziato godeva di una posizione preminente, sia grazie ai ruoli ricoperti in seno alle principali magistrature cittadine e statali, sia per i notevoli privilegi di cui godeva, soprattutto in materia fiscale.
Quest’assetto fu confermato dalle “Novae Constitutiones Mediolanensis Dominii”, norme promulgate da Carlo V nel 1541. Il massimo rappresentante della monarchia spagnola divenne il governatore, funzionario di nomina regia, dotato di ampie prerogative in campo politico e militare. Il governatore, in carica per un numero limitato di anni, si avvaleva dell’aiuto di un Consiglio segreto consultivo, dotato di funzioni giudiziarie in ambito fiscale e della possibilità di sostituire il governatore in sua assenza o in caso di vacanza. Al vertice dell’amministrazione vi era il grancancelliere, che operava attraverso la Cancelleria segreta. Gli organi governativi si potevano avvalere del Collegio fiscale, organo chiamato a rappresentare le ragioni del “fisco” sia davanti alle magistrature milanesi, sia nelle altre province, dove era rappresentato da due avvocati fiscali.
Il Senato, organo creato nel 1499 durante la prima occupazione francese, vide aumentare notevolmente le proprie attribuzioni, sia come organo giudiziario in ambito criminale e civile, posto al vertice dell’intricato sistema giudiziario dello Stato, sia sul piano prettamente politico, godendo di privilegi e prerogative che ne facevano lo strumento di potere per eccellenza del patriziato lombardo. La giurisdizione sui reati criminali commessi a Milano e nei suoi dintorni, nonché dei reati più gravi commessi in tutto il territorio dello Stato, spettava al Capitano di giustizia, magistratura di origine ducale che vedeva ampliate le proprie prerogative. Eccezionalmente il Capitano poteva essere chiamato a svolgere anche le funzioni di giudice civile, solitamente assolte dal Podestà.
Fallito il tentativo di assegnare la gestione delle entrate a un unico ufficio, l’amministrazione finanziaria dello Stato tornò sotto il controllo di due distinte magistrature, il Magistrato ordinario e il Magistrato straordinario, eredi dei maestri delle entrate di età visconteo-sforzesca. Il primo trattava, totalmente o in condivisione con altri uffici, gli affari relativi a dazi, entrate erariali dirette e indirette, spese dello Stato, sistema monetario. Nei propri ambiti d’azione svolgeva, a seconda dei casi, anche funzioni consultive, legislative e giurisdizionali. Il Magistrato straordinario gestiva in particolare il patrimonio del “principe”, composto da una serie eterogenea di diritti e beni, cespiti concernenti feudi, regalie, condanne pecuniarie e confische, eredità vacanti e diritti sulle acque regie.
Gli interessi delle comunità dello Stato erano difesi dalla Congregazione dello Stato, organo le cui origini posso essere fatte risalire alla realizzazione del nuovo estimo di tutto lo Stato voluto da Carlo V nel 1543, opera che avrebbe dovuto garantire maggiori entrate, limitando al tempo stesso i privilegi fiscali di cui godevano le città rispetto alle campagne, prima tra tutte Milano. In origine la Congregazione dello Stato prese forma dalle riunioni degli oratori inviati a Milano delle città minori, tese a contrastare i privilegi tributari della capitale, ma ben presto vide anche il coinvolgimento dei sindaci nominati in rappresentanza delle comunità dei contadi, a loro volta interessate a contrastare i privilegi dei rispettivi capoluoghi. La città di Milano mantenne in ogni caso un ruolo di preminenza anche all’interno della Congregazione. Tra le principali attribuzioni vi era quella di rappresentare al principe gli interessi dei contribuenti, anche inviando degli ambasciatori a corte. Investita di funzioni di volta in volta differenti, la Congregazione mantenne un ruolo preminente soprattutto in epoca spagnola.
In seguito alla guerra di successione spagnola, Milano passò sotto il controllo degli Asburgo d’Austria, salvo l’occupazione sabauda del 1733-1736 e la breve parentesi spagnola del 1745-1746. Nel corso della prima metà del secolo, come accennato, l’estensione territoriale dello Stato subì una notevole riduzione verso occidente, con la perdita di Alessandria, Valenza, la Valsesia, la Lomellina e altre zone limitrofe (sancita nel 1713-1714), Novara e Tortona (1736), Alto Novarese, Vigevano, Voghera e Bobbio (1743-1748). Il baricentro dei domini asburgici si spostò verso oriente, con l’acquisizione del Ducato di Mantova, passato sotto il controllo degli austriaci nel 1708, ma rimasto formalmente autonomo. La loro unione fu sancita solo nel 1745, quando si stabilì di accorparli nella Lombardia Austriaca, nuova compagine statale della quale avrebbero dovuto far parte anche Parma e Piacenza. Questi ultimi due territori, sotto il controllo degli Asburgo d’Austria dal 1736, sarebbero in realtà passati ai Borbone al termine della guerra di successione austriaca, quando la Lombardia Austriaca prese corpo con l’unione di Milano e Mantova.
Soggetti produttori enti collegati:Bibliografia:- Storia di Milano, X, L’età della riforma cattolica 1559-1630, Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1957
- Storia di Milano, XI, Il declino spagnolo 1630-1706, Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1958
- Storia di Milano, IX, L’epoca di Carlo 1535-1559, Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1961
- Storia di Milano, XII, L’età delle riforme 1706-1796, Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1959
- C. CAPRA, Lo sviluppo delle riforme asburgiche nello Stato di Milano, in La dinamica statale austriaca nel XVIII e XIX secolo. Strutture e tendenze di storia costituzionale prima e dopo Maria Teresa, a cura di P. SCHIERA, Bologna, Il Mulino, 1981, 161-187
- C. CAPRA, La Lombardia austriaca nell'età delle riforme, 1706-1796, Torino, UTET, 1987
- REGIONE LOMBARDIA, Le istituzioni storiche del territorio lombardo. XIV- XIX secolo. Progetto Civita. Milano Città, Milano, Regione Lombardia, 2000
- Carriere magistrature e stato. Le ricerche di Franco Arese Lucini per l'Archivio Storico Lombardo (1950-1981), a cura di Cinzia Cremonini, Milano, Cisalpino, 2008
Redazione e revisione:- Lanzini Marco, 2019/11/21, prima redazione