Altre denominazioni:Date di esistenza: 1343 - 1746
Sedi: Firenze
Intestazioni di autorità:- Monte comune, Firenze (1343 - 1746), Regole SIASFi; SIUSA/NIERA
Tipologia:Note storiche:Fin dalla seconda metà del XIII secolo, ma in maniera più consistente dai decenni centrali del Trecento, il Comune di Firenze ricorse ad "accatti" e "prestanze", cioè prestiti forzosi o volontari richiesti ai cittadini per integrare le proprie entrate. I registri dei creditori erano tenuti originariamente presso la Camera del comune. Fra il 1343 e il 1347, a fronte di spese sempre crescenti, dovute principalmente al complicarsi ed ampliarsi del territorio e della struttura dello Stato e, soprattutto, agli impegni militari onerosi e frequenti, si giunse a un consolidamento del debito pubblico. Nel cosiddetto Monte comune furono riuniti tutti i crediti vantati dai cittadini nei confronti del Comune e si emisero titoli (detti in seguito "luoghi di monte") non redimibili a un unico tasso di interesse annuo del 5%.
I titoli del Monte erano negoziabili e, perché la permuta fosse effettiva, era sufficiente esibire un atto notarile agli scrivani che si occupavano della tenuta e aggiornamento dei cosiddetti libri del monte, cioè gli elenchi suddivisi per quartieri dei titolari dei "luoghi". Per ogni modifica apportata alle registrazioni e per le richieste di copie, i creditori pagavano una tassa che veniva versata in una cassetta da cui si ricavavano gli stipendi del personale. Una chiave della cassetta era custodita dagli Ufficiali del Monte, una dal camarlingo della Camera dell'arme. I libri del monte erano redatti inizialmente in due copie, una tenuta dalla Camera del comune e una dalla Camera dell'arme, finché non si crearono una cancelleria e un archivio appositi presso l'ufficio del Monte comune stesso. I "luoghi" non erano soggetti a gabella e non potevano essere sequestrati per reati commessi dal titolare.
[espandi/riduci]Intorno ai titoli del debito pubblico si creò fin da subito un mercato in cui si distinse un gruppo di speculatori, comprendente sia individui singoli sia società e gruppi familiari, e di appartenenza sociale piuttosto varia, che facevano incetta di quote del Monte acquistandole ad un prezzo inferiore rispetto al loro valore nominale da chi, per scelta o necessità, preferiva rientrare in possesso almeno di parte del denaro liquido versato.
Molti furono i forestieri che investirono il loro denaro nel debito pubblico fiorentino, tanto che furono emanate numerose provvisioni restrittive nei confronti di stranieri. La proibizione loro rivolta di acquistare titoli, sebbene proclamata e ribadita nel corso degli anni settanta del Trecento e nel 1392, alla fine non prevalse, anche perché i forestieri l'aggiravano ricorrendo a dei prestanome. Nel 1415 la norma fu abolita, ma l'accesso degli stranieri ai titoli fu comunque regolamentato in maniera rigida.
Il ricorso al debito pubblico, attraverso l'imposizione di prestiti forzosi o volontari e quindi l'erezione di nuovi monti particolari, fu una risorsa più volte adottata e rinnovata sia dai governi repubblicani sia dai principi di casa Medici.
Dalla seconda metà del XIV secolo fecero così la loro comparsa diversi Monti tra cui: il Monte dell'"un due" e quello dell'"un tre", che furono creati nel 1358 e garantirono interessi superiori di due volte il primo e di tre il secondo rispetto a quelli del Monte comune, grazie all'iscrizione nei libri di monte per cifre doppie o triple di quelle effettivamente versate dai creditori; il "Monte di Pisa", istituito per finanziare l'acquisizione della Repubblica marinara avvenuta nel 1406; il Monte delle doti, la cui creazione, avvenuta nel 1425, oltre a essere indotta dalla perenne necessità di denaro del governo repubblicano (era allora in corso la guerra contro Milano), rispondeva anche a un preciso bisogno sociale avvertito dalle famiglie di tutti i livelli che dovevano garantire alle figlie femmine una dote adeguata al loro stato. Nel 1495, durante il regime savonaroliano, fu eretto il Monte di Pietà che prestava denaro su pegno per venire incontro ai più bisognosi e che in seguito perse quasi del tutto la funzione caritativa, divenendo un vero e proprio istituto di credito. Tra i monti creati in epoca medicea, alcuni dei quali concorrenti rispetto a quello comune, altri ad esso legati per lo meno amministrativamente, si ricordano quello del Sale, istituito nella prima metà del Seicento e garantito dalle entrate della gabella del sale, e il Monte sussidio vacabile (1692), che garantiva un interesse del 6%. Nel 1712, inoltre, si istituì un Monte redimibile che offriva un interesse del 6% ai primi sottoscrittori e del 5% ai successivi. Sei anni dopo si ricorse ad un "Monte redimibile secondo" che dava un interesse del 5%.
Vari espedienti e soluzioni furono tentati dai governi repubblicani e dai granduchi medicei per contenere o diminuire un indebitamento che continuò a crescere in maniera costante, tanto da rendere spesso difficoltoso se non addirittura impossibile il pagamento puntuale e completo degli interessi. Nei momenti di maggiore difficoltà, il Comune optò per un pagamento dilazionato o fece ricorso a risorse aggiuntive come i capitali disponibili presso altri monti.
Nel 1380 si tentò di ridimensionare il debito unificando tutti i diversi monti proliferati negli ultimi trentacinque anni in uno solo che erogasse un interesse del 5%. Il provvedimento non fu però risolutivo, visto che poco dopo nuovi prestiti a tassi maggiori furono richiesti o proposti ai cittadini tanto che altri monti più redditizi o che davano maggiori garanzie ai creditori arrivarono a distrarre gli investimenti da quello principale. A tutto ciò nel 1392 si aggiunse l'imposizione di una tassa i cui proventi furono destinati alla diminuzione del debito pubblico e che gravava per un quarto sugli interessi del Monte comune, che passavano così di fatto al 3,75%, nonostante ufficialmente rimanessero al 5%.
Talvolta, seppur molto di rado, la congiuntura economica diventava più favorevole permettendo l'adozione di provvedimenti per la diminuzione effettiva del debito. Si nominavano allora i cosiddetti Ufficiali sopra le diminuzioni, in genere sei, perché, rastrellando capitali con vari espedienti (assegnazione di proventi di alcune gabelle, richiesta di denaro alla Camera del comune, vendita di beni demaniali ecc.), riscattassero parte dei titoli in circolazione.
Per quanto riguarda la struttura del Monte comune, il suo funzionamento e il tipo di personale addetto, si nota una notevole variabilità nel corso dei suoi quattro secoli di attività, sebbene alcune figure rimanessero più o meno costanti. Tra queste, i cosiddetti Ufficiali del Monte (nel Seicento chiamati anche Protettori del Monte), la magistratura a capo dell'istituto deputata al governo del debito pubblico. Numero e procedure di nomina dei membri del collegio subirono spesso variazioni e modifiche come anche alcune funzioni specifiche. Per lo meno in epoca medicea, risulta che a uno degli Ufficiali fossero attribuiti il titolo e il compito di provveditore, cioè di direttore del Monte. Nel tardo Seicento è attestata pure la presenza di un sottoprovveditore.
Vi erano poi uno o due camarlinghi (uno dal 1639), con l'incarico della tenuta della cassa, cui si affiancavano diversi contabili addetti ai pagamenti e alla tenuta dei registri dei creditori. Tra i contabili spiccava per importanza il ragioniere incaricato, tra l'altro, di redigere con regolarità il saldo di cassa.
Sempre presenti risultano quindi il cancelliere, vari notai e i sindaci (nel tardo Seicento in numero di due, assistiti da altrettanti aiuti) che rivedevano i conti della maggior parte delle altre magistrature, repubblicane o granducali a seconda delle epoche.
Da alcune relazioni del tardo Seicento risultano altri impiegati presso il Monte, tra cui si segnalano due "guardiani dei libri" che si occupavano del materiale documentario conservato presso il Monte. La carica in genere non veniva attribuita isolatamente ma associata ad altre, ad esempio a quelle di aiuto dei sindaci e di sottoprovveditore. La presenza di entrambi i guardiani era obbligatoria nel caso si mostrassero i registri in consultazione.
Subito dopo il passaggio del Granducato alla dinastia lorenese, con un motuproprio emanato nel 1739, ci fu una prima unificazione di alcuni Monti (Monti del tre, quattro, sei e sette per cento, Monte di Camera e Monte nuovo del 1617) al Monte comune, a un tasso di interesse del 3%, con la possibilità di riscatto dei titoli per chi non avesse gradito il cambio. Nel 1746, con l'accorpamento di Monte comune, Monte del Sale e Monte redimibile, fu infine accentrato e rinnovato il sistema di gestione del debito pubblico, attraverso la creazione del cosiddetto Nuovo monte comune.
Contesti storico-istituzionali di appartenenza:- Repubblica fiorentina, 1282 - 1530, per il periodo 1343 - 1530
- Ducato di Firenze, 1530 - 1569, per il periodo 1530 - 1569
- Granducato di Toscana, principato mediceo, 1569 - 1737, per il periodo 1569 - 1737
- Granducato di Toscana, principato lorenese, 1737 - 1801, per il periodo 1737 - 1746
Complessi archivistici prodotti:Fonti:- ASFi, Miscellanea Medicea, 413: Niccolò Arrighi, "Teatro di Grazia e Giustizia, ovvero formulario de' rescritti a tutte le cariche che conferisce il Serenissimo Granduca di Toscana, per via dell'Ufficio delle Tratte", pp. 525-552
- [D. M. MANNI], "Estratto dell'Indice Generale de Libri esistenti nell'Archivio del Monte Comune", [1765], ASFi, Inventari, Inventario 1913, 875, cc. 14v, 28r
Bibliografia:- Giovanni Ciappelli, Aspetti della politica fiscale fiorentina fra Tre e Quattrocento in Istituzioni e società in Toscana nell'età moderna. Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini. Firenze, 4-5 dicembre 1992, a cura di Claudio Lamioni, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, 1994, pp. 60-75
- Jean-Claude Waquet, Le Grand-Duché de Toscane sous le derniers Médicis. Essais sur le système des finances et la stabilité des institutions dans les anciens état italiens, Roma, Ecole Francaise de Rome, 1990, pp. 87-132; 319-397
- Sergio di Noto (a cura di), Gli ordinamenti del Granducato di Toscana in un testo settecentesco di Luigi Viviani, a cura di Sergio Di Noto, Milano, Giuffrè, 1984, pp. 223-227
- Guidubaldo Guidi, Il governo della città-repubblica di Firenze del primo Quattrocento, Firenze, Olschki, 1981, II, pp. 263-268
- Roberto Barducci, Politica e speculazione finanziaria a Firenze dopo la crisi del primo Trecento (1343-1358) in Archivio storico italiano, CXXXVII (1979), pp. 177-219
Redazione e revisione:- Baggiani Valentina, 28-FEB-05, prima redazione
- D'Angelo Fabio, 21-APR-20, revisione