Nello Stato della Chiesa, il regolamento del 5 nov. 1831 non previde tribunali criminali nelle province, ma gli stessi tribunali civili dei capoluoghi di delegazione - o legazione - istituiti con il regolamento civile del 5 ott. 1831 al posto delle preture ebbero giurisdizione in materia penale e furono pertanto tribunali sia civili che criminali, così come i governatori, gli assessori legali e i giusdicenti criminali - giudici singoli - avevano competenza sia nel civile che nel penale (art. 20).
Il numero dei tribunali civili e criminali delle province subì variazioni nel tempo. A quelli esistenti per legge nei capoluoghi ne furono aggiunti altri tre, istituiti in città non capoluoghi: Loreto, Norcia e Foligno. Nel 1832, quando fu eretta capoluogo di legazione, ne fu istituito uno anche a Velletri (art. 10 del motuproprio istitutivo della legazione, 1 feb. 1832; "disposizioni riguardanti la nuova legazione di Velletri" del 6 feb. 1832; notificazione del 4 feb. 1832); infine, nel 1854, fu soppresso quello di Orvieto, che era capoluogo di delegazione dal 1831, e la sua giurisdizione fu attribuita a quello di Viterbo (editto 24 lug. 1854).
[espandi/riduci]Alla restaurazione pontificia del 1849 successiva alla repubblica romana, furono annullati tutti gli atti emanati dopo il 16 nov. 1848, quindi non solo quelli della stessa repubblica ma anche del precedente governo provvisorio; di conseguenza furono soppressi i tribunali istituiti in quel periodo e furono ripristinati tutti i tribunali pontifici (notificazione della Commissione governativa di Stato del 2 ago. 1849, art. 3). A questa legge fece seguito una notificazione del Ministero di grazia e giustizia sulla riapertura dei tribunali, con una proroga dei termini per gli appelli (13 ago. 1849).
Giurisdizione civile
Un tribunale civile collegiale, in luogo del pretore, giudice singolo, fu di nuovo istituito con il regolamento organico per l'amministrazione della giustizia civile del 5 ott. 1831, in ogni capoluogo di delegazione o legazione (art. 18).
Nelle legazioni il tribunale era composto da sei membri, un presidente, un vicepresidente e quattro giudici, ed era diviso in due turni o sezioni, di tre componenti ciascuno; nella legazione di Urbino e Pesaro vi fu un unico tribunale civile, del quale il primo turno risiedeva a Pesaro, il secondo a Urbino. I tribunali delle delegazioni, invece, erano composti da tre soli membri, un presidente e due giudici (art. 19).
Il Tribunale civile giudicava in prima istanza le cause di valore superiore ai duecento scudi o di valore indeterminato, le cause di valore inferiore ai duecento scudi se relative a interessi dei comuni (il regolamento legislativo e giudiziario del 10 nov. 1834, con l'art. 291 vi aggiunse le cause relative a interessi delle province) e le cause di qualunque valore relative alla materia ipotecaria e rendimento di conti (art. 20). In appello giudicava dalle sentenze dei giudici conciliatori, degli assessori legali e dei governatori (art. 21).
L'appello dalle sentenze di primo grado dei tribunali civili era portato dinanzi ai tribunali di appello di Bologna e di Macerata (artt. 28-30) o dinanzi ai tribunali romani dell'Auditor Camerae, della Rota e della Segnatura (art. 9 e artt. 31, 44-45, 47-48, 60 per il secondo e terzo grado) [ nel 1847 il Tribunale dell'Auditor Camerae prese il nome di Tribunale civile di Roma (circolare della Segreteria di Stato, 26 giu. 1847, art. 2) ].
Per il regolamento per le cause del fisco e della Camera apostolica, pubblicato con lo stesso editto del 5 ott. 1831, i tribunali civili delle province decidevano in primo grado anche le cause di interesse della Camera, per qualunque somma (tranne per Roma e la Comarca, art. 1) e le controversie sulla esecuzione della mano regia, con sentenze appellabili al solo effetto devolutivo (art. 2). L'appello per le cause del fisco era portato dinanzi al tribunale della piena Camera, in Roma (art. 3), e in terzo grado, per sentenze difformi, dinanzi al tribunale della Rota romana (art. 4); rimaneva al tribunale supremo di Segnatura, per le cause fiscali, la stessa competenza attribuitagli nelle cause civili [ per l'editto 25 luglio 1835 le controversie relative agli atti amministrativi ("atti dei dicasteri o delle magistrature alle quali é affidata la pubblica amministrazione", art. 1) appartenevano alla giurisdizione contenziosa del potere amministrativo, in primo grado alle congregazioni governative e alla congregazione camerale, in secondo grado ai legati oppure alla congregazione del buon governo nelle province, e alla congregazione di revisione. L'eventuale terzo grado era portato dinanzi al consiglio supremo. Un altro editto sulla giurisdizione contenziosa degli affari amministrativi fu pubblicato dal segretario di Stato il 2 giugno 1851, che ne manteneva la separazione dal contenzioso giudiziario. Sul contenzioso amministrativo dei ministeri decideva il Consiglio di Stato secondo i gradi di giudizio (commissione del contenzioso, commissione di appello del contenzioso, commissione di revisione, art. 3), mentre per il contenzioso amministrativo delle province e dei comuni le decisioni appartenevano, secondo i gradi, alle congregazioni governative, ai consigli di legazione e infine alla commissione di revisione (art. 8 seguenti) ]. Più tardi, nel 1863, anche l'appello di secondo grado fu portato non più dinanzi alla piena Camera, ma alla Rota (editto del segretario di Stato Antonelli, 28 nov. 1863).
Con il regolamento 15 feb. 1832, in ogni città dello Stato sede di un tribunale civile, fu istituito un ufficio fiscale incaricato di rappresentare in giudizio la Camera apostolica. Inoltre, per il regolamento per le cause civili nelle curie ecclesiastiche, pubblicato con lo stesso editto 5 ott. 1831, la competenza sulle suddette cause rimaneva affidata ai vescovi, arcivescovi e vicari, nelle rispettive diocesi, purché le parti vi acconsentissero (art. 1). Fu invece trasferita ai tribunali civili delle città sedi degli uffici delle ipoteche, ed in Roma alla Congregazione civile dell'Auditor Camerae, la giurisdizione contenziosa sul regime ipotecario, già del prefetto degli archivi (circolare della Segreteria di Stato 3 mar. 1832).
I giudici, come tutti gli impiegati dell'ordine giudiziario, erano nominati dal sovrano per mezzo della Segreteria di Stato (art. 75 del regolamento per la giustizia civile). I presidenti, i vicepresidenti, i giudici dei tribunali - civili, di appello, di commercio - dovevano aver compiuto i trenta anni d'età e possedere il grado di dottore in entrambe le leggi (art. 76). Presso ogni tribunale civile di un solo turno vi erano due giudici supplenti; presso i tribunali di due turni, quattro giudici supplenti (art. 68); essi, come gli assessori e i governatori, dovevano avere almeno venticinque anni ed il grado di licenziato (art. 76).
Le norme emanate con i tre regolamenti del 5 ott. 1831 (civile, per le cause del fisco, per le curie ecclesiastiche) furono in gran parte ripetute dal "regolamento legislativo e giudiziario per gli affari civili" pubblicato con il motuproprio del 10 nov. 1834 (artt. 289-293; per la procedura artt. 537 sgg.), al quale fece seguito la pubblicazione di particolari disposizioni sulla disciplina degli uffici ipotecari, sulla disciplina pei magistrati ed ufficiali addetti all'amministrazione della giustizia, sulle spese di giustizia e le tasse giudiziarie (editto Gamberini 17 dic. 1834).
Il regolamento del 1834 stabilì che fossero composti da sei membri solo i tribunali di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna, cioè delle quattro legazioni, e da tre membri tutti gli altri (art. 290), quindi anche quello della legazione di Urbino e Pesaro. Aggiungeva però che le cause riguardanti lo stato delle persone dovessero essere sempre decise da cinque giudici (art. 293), con l'eventuale presenza di giudici supplenti (art. 354).
Per il motuproprio del 12 giu. 1847 sull'istituzione del Consiglio dei ministri, le nomine dei presidenti e dei giudici dei tribunali - civili e criminali, e di commercio - e dei giudici unici erano proposte al consiglio dei ministri dall'uditore della Camera, ora a capo del nuovo dicastero per gli affari di giustizia (art. 23). Tale competenza, all'istituzione dei ministeri (motuproprio del 29 dic. 1847) fu attribuita al ministro di grazia e giustizia e, alla soppressione di questo dicastero, al ministro dell'interno (dispaccio della Segreteria di Stato del 10 mar. 1853).
Successivamente non vi furono variazioni di rilievo nella giustizia civile; nel 1854, con circolare del ministro dell'interno in data 10 novembre, fu soltanto aggiunto un quarto giudice ad alcuni tribunali di prima istanza formati da un solo turno.
Giurisdizione penale
Dal 1831, per il citato regolamento del 5 novembre, gli stessi tribunali civili ebbero la giurisdizione penale (art. 20), ma con una modifica nella loro composizione: per le cause criminali i giudici dovevano essere in numero pari e non meno di quattro; pertanto, ai tribunali costituiti da un solo turno, composti da tre membri, venne aggiunto un giudice supplente (art. 21). Presidente del tribunale era un giudice, a seguito dell'art. 6 dell'editto 5 luglio 1831 sull'ordinamento amministrativo che aveva escluso il delegato da ogni funzione in materia giudiziaria.
Le competenze del tribunale, in materia penale, non subirono variazioni, rimanendo la sua giurisdizione su tutti i delitti maggiori. Ricordiamo che erano "delitti minori" quelli punibili con pene pecuniarie o con pene afflittive non superiori a un anno d'opera, tutti di competenza dei giudici singoli (governatori, assessori, giusdicenti criminali); tutti gli altri erano "delitti maggiori" (art. 14 del regolamento 5 nov. 1831); solo per i delitti maggiori la discussione della causa aveva luogo alla presenza dell'accusato, coll'intervento dei testimoni ma con l'esclusione della presenza di estranei (art 22). Nel 1831, però, fu introdotta una importante una innovazione: furono infatti previsti due gradi di giudizio solo per i reati minori e per i delitti capitali; per tutti gli altri reati, tutti delitti maggiori, vi fu un unico grado di giudizio (art. 13). Pertanto il tribunale dei capoluoghi di delegazione pronunciava in primo grado solo le sentenze di morte, mentre tutte le altre sue sentenze erano inappellabili (art. 28). Facevano eccezione i giudizi per lesa maestà, cospirazione, sedizione, ed altri attentati alla pubblica sicurezza, che erano esclusi dalla giurisdizione dei tribunali delle delegazioni e, da tutto lo Stato, erano portati dinanzi al Tribunale della sacra consulta, in Roma (artt. 555 sgg). In caso di condanna alla pena capitale decisa non all'unanimità, era prevista la revisione alla presenza di entrambi i turni della Consulta, entro cinque giorni e in assenza dell'imputato (artt. 565-566).
In appello, dinanzi ai tribunali criminali delle province, erano portate le sentenze dei giusdicenti criminali, assessori, governatori (art. 29) [ quando la condanna raggiungeva un anno d'opera si aveva l'appello in sospensivo (art. 14); la sospensione era prevista sia per le cause penali sino all'esito delle civili, che viceversa ]. Infine, i tribunali delle delegazioni giudicavano come tribunale di revisione le controversie sulla competenza dei giudici singoli (art. 30). La revisione era prevista contro le sentenze inappellabili, sia per indole della causa sia perché pronunciate in secondo grado (art.15) [ il rimedio della revisione consisteva nella facoltà di implorare dai tribunali superiori l'annullamento della sentenza sia per violate forme sostanziali, sia per falsa applicazione della legge, sia per eccesso di potere; la revisione produceva effetto sospensivo (artt. 16-18) ]. Le risoluzioni erano prese a maggioranza ed in caso di parità di voti si accedeva all'opinione più mite, più favorevole all'imputato (art. 443) [ il ricorso in via di revisione poteva interporsi solo contro sentenze definitive; tale norma, già contenuta nel regolamento del 5 nov. 1831, artt. 15, 16, 729, venne spesso disattesa e fu quindi ribadita con circolare della Segreteria per gli affari di Stato interni del 16 mag. 1836 ].
Nel 1835, con editto della Segreteria per gli affari di Stato interni sulla repressione dei contrabbandi e sulle contravvenzioni alle leggi erariali, fu istituito in Roma il Tribunale criminale della Reverenda Camera Apostolica, incaricato del giudizio sulle azioni criminali derivanti dalle suddette contravvenzioni, sia in primo grado, per le cause di Roma e Comarca, che in grado di appello, dalla sua stessa sezione di primo grado e dai tribunali delle province (editto 18 ago. 1835).
Con le disposizioni della Segreteria di Stato del 1° gen. 1847 - che concentrava i tribunali criminali di Roma riunendo nel Tribunale di governo, presieduto dal governatore, gli altri due tribunali criminali della capitale, quello dell'Auditor Camerae e quello del Campidoglio che vennero soppressi - i tribunali delle province furono posti sotto la vigilanza del supremo Tribunale della sacra consulta, al quale erano tenuti a trasmettere periodicamente gli stati delle visite carcerarie, delle cause decise e delle cause introdotte. Pochi mesi dopo il Tribunale del governo prese il nome di Tribunale criminale di Roma (circolare del segretario di Stato 26 giu. 1847); con lo stesso atto si stabiliva che i tribunali delle province, così come il Tribunale criminale camerale (istituito dall'art. 49 dell'editto 18 ago. 1836) giudicassero in prima istanza le cause indicate negli editti 18 ago. 1836 e 7 nov. 1839 (art. 9). Sempre per la citata circolare del 26 giu. 1847, tutte le cause giudicate in primo grado dai tribunali dovevano essere portate per l'appello dinanzi al tribunale di Roma mentre da quest'ultimo l'appello era portato dinanzi al tribunale della consulta (art. 10-11).
Nel 1862, con editto del segretario di Stato del 2 aprile, con "l'intendimento di riportare possibilmente all'uniformità e alla semplicità le varie giurisdizioni" il Tribunale criminale camerale venne soppresso e la sua giurisdizione per le cause criminali d'interesse del pubblico erario fu riunita nel Tribunale criminale di Roma e, in secondo grado e in revisione, al Tribunale della sacra consulta anche per le cause camerali giudicate dai tribunali delle province.
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- Lodolini Tupputi Carla, prima redazione