In seguito all'annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, la legge sarda sull'Ordinamento provinciale e comunale 23 ott. 1859, n. 3702, la cosiddetta legge Rattazzi, fu estesa anche alle province lombarde. La stessa cosa avvenne, nel medesimo anno, negli ex Ducati di Parma e Modena. Le successive annessioni allo Stato sabaudo tramite plebisciti furono accompagnate dall'introduzione dell'ordinamento sardo nelle nuove unità giurisdizionali ed amministrative che si andavano man mano definendo. Al momento della proclamazione di Vittorio Emanuele II a primo re d'Italia il 17 marzo 1861, le province erano 59, poiché il territorio nazionale non comprendeva le attuali regioni del Veneto (più la provincia di Mantova), Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Lazio (tranne la provincia di Rieti, allora parte dell'Umbria).
Secondo la legge Rattazzi, l'amministrazione provinciale è composta da un Consiglio e da una Deputazione, direttamente collegati allo Stato attraverso la figura del Governatore.
[espandi/riduci]Il Capo II stabilisce la composizione e il funzionamento del Consiglio provinciale. Il numero dei consiglieri varia da Provincia a Provincia (da 60 a 20) in base alla popolazione ed è ripartito per mandamenti; essi rappresentano però l'intera Provincia (art. 150). Tutte le sessioni del Consiglio provinciale sono aperte e chiuse in nome del Re dal Governatore, o da chi lo rappresenta. Il Governatore interviene alle sedute, vi esercita le funzioni di Commissario del Re, ha diritto di fare osservazioni, ma non ha voce deliberativa (art. 157). Il Consiglio delibera sulla creazione di stabilimenti pubblici provinciali, sugli affari concernenti il patrimonio provinciale e sui sussidi da accordare ai consorzi e ai comuni per opere pubbliche e per i bisogni dell'istruzione. L'organo esprime anche il parere sui cambiamenti proposti alla circoscrizione della provincia, dei circondari, dei mandamenti e dei comuni, nonché sulle designazioni dei capi-luogo.
Il capo III è relativo alla Deputazione provinciale, che è composta dal Governatore che la convoca e la presiede e da membri eletti dal Consiglio provinciale a maggioranza assoluta di voti (art. 171).
Il capo IV tratta dell'ingerenza governativa nell'Amministrazione provinciale, consistente nella soggezione all'approvazione del Re delle delibere che vincolavano i bilanci provinciali per più di cinque esercizi e di quelle relative alla creazione di stabilimenti pubblici a spese della Provincia. Le altre deliberazioni venivano trasmesse per un controllo di forma e di legittimità al Ministero dell'Interno.
Tra le disposizioni generali del capo V era prevista la pubblicazione a stampa degli atti del Consiglio provinciale (art. 187).
Il primo anno di attività dei Consigli provinciali fu contrassegnato soprattutto dalla verifica delle circoscrizioni territoriali, fino a quando la materia dei confini fra i comuni e le provincie ricadde sotto la disciplina del R.D. 15 dic. 1860, n. 4471, che modificò la distrettuazione amministrativa in conformità della circoscrizione territoriale delle autorità giudiziarie, promulgata con il R.D. 4 dic. 1860, n. 4461. Il Governatore, con funzioni di Presidente della Deputazione provinciale e di rappresentante del potere centrale, assunse il nome di Intendente e successivamente (con R.D. 9 ott. 1861, n. 250 di Prefetto.
Con l'emanazione della legge 23 mar. 1865, n. 2248, furono varate disposizioni uniformi a carattere nazionale sull'amministrazione comunale e provinciale, sulla pubblica sicurezza, sulla sanità pubblica, sul Consiglio di Stato, sulla giustizia amministrativa e sui lavori pubblici. Essa mantenne la divisione del Regno in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni (art. 1). Su tutte le pubbliche amministrazioni, come rappresentante del potere esecutivo, vigilava il Prefetto (art. 3), coadiuvato dal Consiglio di Prefettura (art. 2). Veniva sancito il principio che la Provincia fosse un "corpo morale", un ente autarchico territoriale con "facoltà di possedere e con un'amministrazione propria che ne rappresentasse gli interessi" (art. 152). L'articolo 153 ribadiva che ad amministrare l'ente fossero il Consiglio provinciale e la Deputazione provinciale. I consiglieri provinciali, il cui numero variava in rapporto agli abitanti della circoscrizione, venivano eletti da tutti gli aventi diritto al voto nei Mandamenti. Le sedute erano aperte dal Prefetto (art. 164), il quale poteva intervenire come commissario del governo ed eventualmente fare anche osservazioni, ma non aveva voto deliberativo. Il Consiglio si riuniva di pieno diritto ogni anno il primo lunedì di settembre in sessione ordinaria, la cui durata era di quindici giorni (art. 166). Poteva essere convocato anche straordinariamente dal Prefetto o per sua iniziativa o ad istanza della Deputazione (art. 165). Per la validità delle sedute occorreva la partecipazione di almeno metà dei suoi membri, mentre nella seconda convocazione, che doveva effettuarsi in altro giorno, le deliberazioni sarebbero state valide anche con la sola partecipazione di un terzo dei consiglieri (art. 169).
L'articolo 172 della legge del 1865 stabiliva che al Consiglio provinciale spettasse di provvedere colle sue deliberazioni: alla creazione di stabilimenti pubblici provinciali; ai contratti di acquisto e alle accettazioni di doni o lasciti; agli affari relativi all'amministrazione del patrimonio della Provincia; all'istruzione secondaria o tecnica quando non vi provvedano particolari istituzioni o il governo a ciò autorizzato da leggi speciali; agli istituti e stabilimenti pubblici diretti a beneficio della Provincia o di una parte di essa, i quali non abbiano un'amministrazione propria e consorziale; al mantenimento dei mentecatti poveri della Provincia; alle pensioni per gli allievi delle scuole normali ed alle ispezioni per le scuole elementari; alle strade provinciali ed ai lavori intorno ai fiumi e ai torrenti posti dalle leggi a carico della Provincia; alle discipline e alle consuetudini per la conservazione ed il taglio dei boschi per le consuetudini e gli usi agrari; ai sussidi in favore di comuni o consorzi per opere pubbliche, per la pubblica istruzione, per istituti di pubblica utilità; alla formazione del bilancio, allo storno da una categoria all'altra delle spese stanziate, all'esame del conto di cassa del tesoriere, del conto amministrativo della Deputazione ed all'applicazione dei fondi disponibili; alle azioni da intentare o sostenere in giudizio; allo stabilimento di pedaggi sui ponti e strade provinciali; al concorso della Provincia ad opere e spese per essa obbligatorie a termini della legge; alla creazione dei prestiti; ai regolamenti per le istituzioni che appartengono alla Provincia e per gli interessi amministrativi della medesima; alla vigilanza sopra le istituzioni e gli stabilimenti pubblici a benefizio della Provincia o di una parte della medesima; quand'anche abbiano un'amministrazione speciale e propria; alla nomina, sospensione e revoca degli impiegati addetti agli uffizi e stabilimenti provinciali; alla conservazione dei monumenti e degli archivi provinciali; alla determinazione del tempo entro cui la caccia e la pesca possono essere esercitate, ferme le altre disposizioni delle leggi relative; alla conservazione degli edifici di proprietà provinciale e degli archivi amministrativi della Provincia.
La Deputazione provinciale era composta dal Prefetto che la presiedeva e dai membri eletti a maggioranza assoluta in seno al Consiglio. Ogni anno veniva rinnovata per metà dei suoi componenti (art. 186). Le competenze erano così fissate dall'articolo 180: rappresenta il Consiglio nell'intervallo delle sue riunioni; provvede alle esecuzioni delle deliberazioni del Consiglio provinciale, con facoltà di farsi rappresentare da uno o più dei suoi componenti; prepara i bilanci delle entrate e delle spese; sospende gli impiegati degli uffizi e stabilimenti provinciali rendendone conto al Consiglio; nomina, sospende, revoca i salariati a carico della Provincia; stipula i contratti determinandone le condizioni in conformità delle deliberazioni del Consiglio; delibera sulla erogazione delle somme stanziate in bilancio per le spese impreviste e sullo storno di un articolo ad altro d'una stessa categoria; fa gli atti conservatori dei diritti della Provincia; in caso di urgenza fa gli atti e dà i pareri riservati al Consiglio riferendone al medesimo nella prima adunanza; compie gli studi preparatori degli affari da sottoporsi alle deliberazioni del Consiglio provinciale; rende conto annualmente al medesimo della sua amministrazione; esercita verso i comuni, i consorzi e le opere pie, le attribuzioni che le sono dalla legge affidate; deve ogni anno raccogliere in una relazione generale tutte le statistiche relative all'amministrazione della Provincia e sottoporla tanto al Governo che al Consiglio provinciale, colle forme che saranno determinate da regolamenti generali.
In concomitanza con il periodo di introduzione delle nuove norme si verificarono importanti mutamenti territoriali. Nel 1866, a seguito della terza guerra di indipendenza, furono infatti annessi dall'Austria i territori del Veneto (incluso il Friuli) e del mantovano con l'istituzione di 8 province (Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, del Friuli), cui seguì nel 1868 la provincia di Mantova e nel 1870, a seguito dell'annessione della futura capitale, di quella di Roma. Il numero complessivo di province nel Regno fu così portato a 69. La legislazione del 1865 fu estesa anche nei territori di nuova annessione con il D.L. 1 ago. 1866, n. 3130, e il D.L. 15 ott. 1870, n. 5928.
Un passo avanti per distinguere la Provincia come ente autarchico territoriale e toglierle quelle funzioni di carattere governativo che la configuravano come un ente promiscuo, fu fatto con la legge 30 dic. 1888, n. 5865, assorbita dal Testo unico 10 feb. 1889, n. 5921. I due aspetti centrali della riforma furono l'istituzione della Giunta provinciale amministrativa ed il ridimensionamento delle funzioni del Prefetto in seno all'Amministrazione provinciale. La riforma varata dal governo Crispi previde l'allargamento dell'elettorato amministrativo e la elettività sia dei sindaci dei capoluoghi di provincia e dei centri maggiori sia dei presidenti delle Deputazioni provinciali.
La perdita di potere dell'esecutivo veniva recuperata attraverso la creazione della Giunta provinciale amministrativa, organismo misto presieduto dal Prefetto e composto da due consiglieri di Prefettura designati al principio di ogni anno dal Ministero dell'Interno e da quattro rappresentanti del Consiglio provinciale scelti al di fuori dei propri membri. Spettava, infatti, alla Giunta poter entrare nel merito delle deliberazioni sulle materie di maggiore importanza quali quelle finanziarie e la gestione delle opere pie e poter porre il veto. Il ricorso al Ministero dell'Interno contro il veto non impediva il fatto che la Giunta fosse talvolta in grado di paralizzare l'attività della Provincia. L'ente poté però divenire un organismo amministrativo con uffici, sede e personale propri, distinti dalla Prefettura, anche se, in effetti, le sue funzioni rimasero assai limitate.
La situazione rimase inalterata per parecchio tempo. I Testi unici del 1898, 1908 e 1915 non apportarono sostanziali cambiamenti se non marginali modifiche soprattutto nella normativa elettorale, ammettendo all'elettorato attivo tutti i cittadini (maschi) di almeno 30 anni di età, anche se analfabeti, e quelli, tra i 21 e i 30 anni, aventi alcuni titoli di capacità o di censo. Continuarono invece i mutamenti dal punto di vista territoriale. Nel 1920 - annessa la Venezia Tridentina (fino al Brennero) e la Venezia Giulia (da Trieste a Zara esclusa Fiume) - fu istituita la Provincia di Trento e nel 1923 quelle di La Spezia, Trieste e dello Ionio, mentre quella di Porto Maurizio fu ridenominata provincia di Imperia. Già nel 1921, la provincia di Terra di Lavoro ricevette il nuovo nome di Caserta. Nel 1924, inoltre, si diede vita alle province di Fiume, dell'Istria e di Zara, portando il numero degli enti a 76.
Con il fascismo, il principio della rappresentanza popolare dei consigli comunali e provinciali fu soppresso e furono imposte figure di nomina centrale ai vertici delle istituzioni periferiche. Dopo aver, nel 1926, abolito le elezioni comunali e attribuito al podestà di nomina statale le competenze del sindaco, della Giunta e del Consiglio comunale, analoga riforma interessò la Provincia. Il regio decreto legge 27 dic. 1928, n. 2692, introdusse la carica del preside designato dal centro in sostituzione del presidente elettivo della Provincia e della Deputazione provinciale. Un Rettorato scelto dal governo prendeva il posto del Consiglio provinciale. Si ampliava la possibilità di contrarre mutui, si soppressero pareri di collegi locali non ritenuti necessari, si semplificò la procedura della revisione dei conti. Tale impostazione fu mantenuta nel Testo unico della legge comunale e provinciale del 3 marzo 1934, n. 383.
Nel frattempo, per effetto del R.D.Lgs. 2 gen. 1927, n. 1, "Riordinamento delle circoscrizioni provinciali", si ebbe l'istituzione di 17 nuove province (Aosta, Vercelli, Varese, Savona, Bolzano, Gorizia, Pistoia, Pescara, Rieti, Terni, Viterbo, Frosinone, Brindisi, Matera, Ragusa, Castrogiovanni, Nuoro) e la soppressione della provincia di Caserta. Nello stesso anno furono soppressi i circondari. Nello stesso anno Castrogiovanni fu denominata Enna e Girgenti Agrigento. Nel 1930 Spezia divenne La Spezia e la provincia di Fiume rinominata Provincia del Carnaro, mentre nel 1931 Bari delle Puglie divenne Bari. Altre integrazioni si ebbero nel 1934 con la Provincia di Littoria e, nel 1935, con quella di Asti. Nel 1939 la Provincia di Aquila degli Abruzzi diventò Provincia dell'Aquila e nel 1940 la Provincia del Friuli fu chiamata Provincia di Udine, mentre nel 1941 la Provincia di Zara entrò a far parte del Governatorato della Dalmazia (comprendente le province di Zara, Spalato e Carnaro), portando le province del regime a 94 (escluse le zone di occupazione, i governatorati e le colonie). Con decreto prefettizio 12 ago. 1943, n. 2738, il Preside e i Rettori vennero sostituiti da un Commissario prefettizio.
Dopo la caduta del regime fascista, furono emanate norme provvisorie per l'amministrazione dei comuni e delle province, che abrogavano le disposizioni precedenti, confermando le competenze previste dal Testo unico del 1915. Con il regio decreto legge 4 apr. 1944, n. 111, "Norme transitorie per l'amministrazione dei Comuni e delle Provincie", si stabilì che l'amministrazione della Provincia fosse composta da un Presidente e da una Deputazione provinciale, di nomina prefettizia (art. 4). Nel 1945 la Provincia di Aosta fu rinominata Valle d'Aosta, Littoria divenne Latina e fu ripristinata la provincia già soppressa di Caserta. Nel 1946 la Provincia di Apuania fu denominata Provincia di Massa Carrara. Nel 1947 l'Italia, con il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, perdette le province dell'Istria, del Carnaro e la Dalmazia nonché parte del territorio di quelle di Trieste e Gorizia, mentre la stessa provincia di Trieste (zona A) venne occupata in Territorio Libero dalle forze americane e britanniche e di fatto esclusa dall'Italia.
Con l'avvento della Repubblica, l'Italia aveva un totale di 91 province effettive. Nel 1948 la provincia della Valle d'Aosta fu soppressa e ne furono trasferite le competenze alla neonata Regione autonoma, mentre con lo statuto della Regione Sicilia (1946) le circoscrizioni provinciali siciliane furono soppresse e sostituite da province regionali intese come liberi consorzi comunali.
Con la legge 8 mar. 1951, n. 122, poi modificata dalla legge 10 set. 1960, n. 962, fu ristabilito nelle province il sistema elettivo e furono ricostituiti i tre organi che esistevano in precedenza: il Consiglio, la Giunta (così venne denominato l'organo precedentemente chiamato Deputazione) e il Presidente.
Ripristinato il Testo unico del 1934 (per la parte non riguardante gli organi), la Provincia, qualificata come "ente autarchico territoriale", strumento dell'amministrazione indiretta dello Stato anziché espressione di autonomia, continuò ad espletare un insieme di funzioni, tipicamente settoriali, piuttosto limitato e ristretto, soprattutto se raffrontato con la generalità e la grande estensione delle competenze comunali. Nello specifico, i tre filoni principali comprendevano l'istruzione pubblica (fornitura di locali e di personale non docente, assunzione di spese di funzionamento per gli istituti di istruzione secondaria, tecnica e scientifica); l'assistenza e la beneficenza (interventi riferiti a diverse categorie in stato di bisogno: infanti illegittimi, abbandonati o esposti all'abbandono, gestanti, ciechi e sordomuti poveri e rieducabili, ecc.); la viabilità (costruzione e manutenzione delle strade provinciali). Fino al 1980 la Provincia fu inoltre titolare di un altro vasto campo di funzioni in ambito socio-sanitario (assistenza psichiatrica, igiene pubblica, ecc.), poi di competenza delle Regioni e dei Comuni tramite le Unità sanitarie locali (per la legge di riforma sanitaria del 1978). Le Province hanno inoltre esercitato funzioni dette facoltative, o discrezionali, in risposta ad altrettanti bisogni espressi dalle comunità territoriali, come interventi nel campo della cultura e del tempo libero, partecipazione a società o enti economici, di gestione di pubblici servizi.
Nel 1951 la Provincia dello Ionio fu ridenominata Provincia di Taranto e nel 1954 la Provincia di Trieste ridivenne italiana. Nel 1968, poi, fu istituita la Provincia di Pordenone, cui seguì nel 1970 quella di Isernia e nel 1974 quella di Oristano, per un totale di 95 province (inclusa la Valle d'Aosta).
Con la legge 8 giu. 1990 n. 142 "Ordinamento delle autonomie locali", la Provincia è stata rafforzata istituzionalmente, divenendo a tutti gli effetti un ente intermedio con competenze di programmazione e di gestione di area vasta, snodo essenziale ed unico tra il livello regionale e quello comunale. Anche prima di questa legge, in molte realtà ha avuto luogo il trasferimento dalla Regione alla Provincia di funzioni amministrative: nel settore dei servizi sociali, in particolare per la formazione professionale; in quello dello sviluppo economico, in ambito agricolo e forestale; in quello dell'assetto ed uso del territorio, con competenze nella pianificazione edilizia e urbanistica, attraverso il piano infraregionale a contenuto socio-economico e territoriale, sui vincoli idrogeologici, sul piano dei trasporti di bacino, nella tutela dell'ambiente, con i conseguenti compiti di censimento e smaltimento dei rifiuti.
Radicali innovazioni sono state poi introdotte dalla legge elettorale 25 mar. 1993, n. 81, "Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale", che non si è limitata alla materia elettorale, ma, modificando o sostituendo addirittura tredici articoli della legge 142/90, è intervenuta sulla composizione e sul funzionamento degli organi di governo dei comuni e delle province, sulle loro competenze, sui loro rapporti. La legge 142/90 è stata poi modificata dalla legge 3 ago. 1999, n. 265, che ha introdotto il riconoscimento di una più ampia autonomia degli enti locali, mettendo in rilievo l'autonomia statutaria e regolamentare, ed un forte decentramento territoriale.
Il rapporto tra Stato ed enti locali è stato poi ulteriormente definito dalla cosiddetta "riforma Bassanini" che, attraverso una serie di provvedimenti emanati tra il 1997 e il 1999 (L. 15 mar. 1997, n. 57; L. 127 15 mag. 1997, n. 57; L. 16 giu. 1998, n. 191; L. 8 mar. 1999, n. 50), ha introdotto il principio della sussidiarietà in base al quale la generalità delle competenze e funzioni amministrative deve essere attribuita in ordine gerarchico inverso: comuni, province, regioni, stato.
Con il D. Lgs. 469/1997 ha avuto luogo il conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro (a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59) ed in base al quale sono passati sul finire del 1999 alla gestione della Provincia i Centri per l'Impiego.
Con il D.Lgs. 112/1998, "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59", e con le leggi regionali attuative sono state attribuite alla Provincia ulteriori e nuove funzioni amministrative; sono da considerare inoltre specifiche attribuzioni derivanti direttamente da leggi regionali, quindi con possibili differenze tra regione e regione.
Successivamente le funzioni della Provincia sono state stabilite dall'art. 19 (funzioni relative ai servizi rivolti all'esterno) e dall'art. 20 (funzioni di programmazione) del D.Lgs. 18 ago. 2000, n. 267, "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali": difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità; tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali; caccia e pesca nelle acque interne; organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore; servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale; compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale; raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.
Nel 1992 erano state create 8 nuove province: Verbano-Cusio-Ossola; Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato, Crotone, Vibo Valentia, mentre Forlì fu ridenominata Forlì-Cesena. Nel 2001 la Regione Autonoma della Sardegna ha istituito quattro province divenute operative nel 2005, Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias, portando il numero complessivo a 107. Nel 2004 il Parlamento ha istituito le tre province di Monza e della Brianza, di Fermo e di Barletta-Andria- Trani.
Il 3 aprile 2014, infine, è stata approvata dal Parlamento una riforma (legge 7 apr. 2014, n. 56) a seguito della quale le province sono diventate enti di area vasta di secondo livello, cioè eletti a suffragio ristretto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni presenti sul loro territorio. Alcune delle loro funzioni sono state cedute ai comuni e alle regioni. Fanno eccezione le province autonome di Trento e Bolzano; inoltre le regioni a statuto speciale che hanno autonomia in materia di enti locali ovvero la Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia si sono in parte discostate dai principi della legislazione statale in materia.
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