In seguito all'annessione della Lombardia al Regno sabaudo, viene emanata la legge del 23 ottobre 1859 (legge Rattazzi), che estende alle province lombarde gli ordinamenti di comuni e province vigenti nello stato sabaudo. Con la legge 20 marzo 1865, n. 2248 l'ordinamento è esteso a tutto il territorio nazionale, con l'esclusione delle province ancora appartenenti allo Stato pontificio. Le istituzioni comunitative che per secoli avevano governato il territorio degli Stati preunitari vengono ovunque sostituiti dal nuovo Comune.
La legge Rattazzi dispone anzitutto (Titolo I) la divisione del Regno in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni (art.1).Si occupa poi di disciplinare i Comuni (Titolo II). A norma delle disposizioni del Capo I, ciascun comune ha un consiglio comunale, elettivo, ed una giunta comunale, espressa dal Consiglio. Può avere un segretario e un ufficio comunale, ma più comuni possono valersi di uno stesso segretario ed avere un solo archivio. Il Consiglio comunale è composto da sessanta membri nei Comuni con popolazione superiore ai 60 mila abitanti; da quaranta membri in quelli la cui popolazione supera i 30 mila abitanti; da trenta membri nei Comuni con popolazione eccedente i 10 mila abitanti; da venti membri in quelli dove la popolazione è superiore ai 3 mila abitanti; da quindici membri negli altri comuni. La Giunta municipale è formata dal Sindaco e da un numero variabile di assessori e supplenti, a seconda della popolazione ( otto Assessori e quattro Supplenti nei Comuni con popolazione superiore ai 60 mila abitanti; sei assessori nei Comuni aventi più di 30 mila abitanti, quattro in quelli con più di 3 mila abitanti e due negli altri Comuni; il numero dei supplenti nei comuni con meno di 60 mila abitanti rimane fissato a 2.
[espandi/riduci]Il Capo II disciplina il sistema elettorale fissando diritti e limiti dell'elettorato attivo e passivo per la costituzione del Consiglio comunale: vi partecipano gli abitanti che pagano contribuzioni dirette di entità determinate in base al numero di abitanti; ne sono esclusi analfabeti, donne, interdetti e soggetti condannati a pene correzionali.
Il Capo III definisce le competenze del Consiglio comunale, cui spettano l'elezione dei membri della Giunta municipale, la revisione delle liste elettorali, l'esame e approvazione del bilancio comunale, la nomina dei revisori dei conti, la sorveglianza e il controllo contabile sugli stabilimenti di carità e beneficenza, sull'attività e sul bilancio di tutte le istituzioni che operano a beneficio della generalità degli abitanti e sulle fabbricerie. Il consiglio delibera anche sul numero e sullo stipendio degli impiegati comunali, che includono anche il personale scolastico, sanitario, ecclesiastico, di vigilanza operante nel comune; sui contratti, sull'uso e destinazione dei beni comunali, sull'appalto per le opere pubbliche e su altre materie non direttamente soggette alla competenza della Giunta municipale. Le sedute del Consiglio sono pubbliche. Le deliberazioni sono affisse all'albo pretorio.
Nel Capo IV vengono fissate funzioni, competenze e modalità di delibera della Giunta municipale; l'organo viene eletto, per la durata di un anno, a maggioranza assoluta dal Consiglio comunale fra i propri membri; ha funzioni esecutive delle deliberazioni del Consiglio stesso. La Giunta nomina il personale del Comune, forma il bilancio, predispone i regolamenti, vigila sull'ornato cittadino e sulla polizia locale; spetta ancora alla Giunta l'esecuzione delle operazioni censuarie, il rilascio degli atti anagrafici, il controllo sulle operazioni di leva, l'esecuzione degli atti conservativi dei diritti del Comune.
Nel Capo V vengono stabilite le modalità di nomina e le funzioni del sindaco, che riveste la doppia funzione di ufficiale del governo, come tale nominato direttamente dal Re, e di capo dell'amministrazione comunale. Il Sindaco dura un carica tre anni, e può essere confermato se conserva la qualità di Consigliere. In quanto capo dell'amministrazione comunale egli presiede il consiglio comunale, convoca e presiede la Giunta comunale, distribuisce gli affari tra i suoi membri, rappresenta il Comune nelle sedi giudiziarie. Come ufficiale del governo è incaricato della pubblicazione delle leggi e degli ordini governativi, di tenere i registri dello stato civile e di riferire all'intendente, ufficiale governativo preposto alla provincia poi sostituito dal prefetto, sulla concessione di licenze per esercizi e stabilimenti pubblici, di riferire alle autorità governative sull'ordine pubblico. In comuni divisi in frazioni e borgate il sindaco può delegare le funzioni di ufficiale governativo ad un membro del consiglio o ad altro elettore residente.
Nel Capo VI vengono prescritti vari obblighi in materia di amministrazione e contabilità. Si prescrive la tenuta di inventari aggiornati, da trasmettere in copia agli Intendenti di beni mobili e immobili, di titoli atti e scritture riferibili al patrimonio e alla fiscalità. In caso di insufficienza delle rendite ordinarie viene data ai comuni facoltà di imporre dazi per gestione di esercizi di attività produttive o commerciali,di appaltare privative per attività di misura e pesatura pubblica di merci o per attività commerciali nell'ambito di fiere e mercati, di imporre tasse per l'uso di spazi pubblici, di riscuotere sovrimposte sulle contribuzioni dirette, imporre tasse sugli animali presenti nel territorio del comune. L'esazione delle rendite e il pagamento delle spese compete all'Esattore delle contribuzioni dirette ove manchi il tesoriere del comune. La nomina di un Tesoriere particolare è prevista solo per i comuni le cui spese obbligatorie raggiungano un ammontare stabilito dalla legge stessa.
Il Capo VII sottopone all'esame dell'intendente, poi prefetto, le deliberazioni e i bilanci comunali. I regolamenti dei dazi, delle imposte, quelli di ornato e di polizia locale sono soggetti alla preventiva approvazione regia, previo parere del Consiglio di Stato (art. 132). Devono essere approvate dalla Deputazione provinciale le deliberazioni comunali inerenti alle seguenti materie: acquisto o alienazione di immobili, titoli di debito pubblico e azioni industriali; costituzioni di servitù; delimitazioni di beni e territori; spese vincolanti i bilanci per più di tre esercizi; azioni legali e liti giudiziali; regolamenti d'uso dei beni comunali e di altre istituzioni comunali.
L'entrata in vigore della legge "per l'unificazione amministrativa del Regno d'Italia" del 20 marzo 1865, n. 2248, che sancì il passaggio dalle vecchie alle nuove forme di amministrazione periferica in tutto il territorio nazionale (con l'esclusione delle province non ancora conquistate) apporta poche modifiche alla legge del 23 ottobre 1859.Le novità più significative riguardano i mutamenti delle circoscrizioni comunali, la distribuzione delle competenze tra gli organi, l'elencazione più esauriente delle spese considerate obbligatorie (vi rientrano le spese per il servizio sanitario, per opere pubbliche e opere di difesa dell'abitato contro fiumi e torrenti, per costruzioni di porti e fari, per costruzione di acquedotti e per la polizia locale) che recepisce la legislazione emanata dopo il 1859. Per il resto i 235 articoli - escluse le norme transitorie - della legge 1865 sono una sostanziale ripetizione dei 222 articoli della legge del 1859.In seguito all'ampliamento del Regno, la legislazione del 1865 viene estesa (d.l. 1 agosto 1866, n.3130) alle Province del Veneto e a Roma, e provincia (d.l.15 ottobre1870, n.5928), attuando l'unificazione amministrativa anche nei territori di nuova annessione. Dopo alcuni progetti di modifiche alla legge 1865, effettuati nel 1867 e successivamente nel 1868, si giunge alla legge 23 giugno 1873, n. 1335 , che modifica gli artt. 77 e 165 (relativi al termine di approvazione dei bilanci). Con questa le sessioni autunnali dei consigli comunali furono anticipate di un mese, per consentire la deliberazione del bilancio di previsione entro il termine prescritto dalla legge.
La legge 30 dicembre 1888, n. 5865 apporta notevoli modifiche alla precedente legislazione, e si può dire che costituisca tuttora l'ossatura dell' ordinamento comunale. Le più importanti innovazioni possono essere così riassunte:
· ogni comune deve avere un segretario e un ufficio comunale; più comuni possono consorziarsi per avvalersi di uno stesso segretario (art.2);
· si dà facoltà al Governo di procedere in ogni tempo alla costituzione di nuovi Comuni;
· si rinnova parzialmente la materia elettorale;
· si affida alla magistratura la presidenza degli uffici elettorali;
· si elimina la prescrizione che la sessione ordinaria dei consigli comunali non può durare più di 30 giorni; la riunione straordinaria del consiglio può esser indetta dal Sindaco, dalla Giunta o su domanda di un terzo dei consiglieri;
· nei comuni con popolazione superiore ai 10 mila abitanti, il Sindaco è eletto nel proprio seno dal consiglio comunale (art.50);
· si prevede (art.52), per la prima volta la rimozione dei sindaci ad opera del consiglio; qualora il sindaco "non adempia ai suoi obblighi" può essere sostituito , per tre mesi, da un apposito Commissario (art.53);
· si rendono pubbliche le sedute dei consigli comunali (art. 82); oltre allo scioglimento dei consigli comunali per gravi motivi di ordine pubblico, si può ricorrere al loro scioglimento in caso che "richiamati all'osservanza di obblighi loro imposti per legge , persistano a violarli" (art.84).
Poiché la legge concede al Governo la facoltà di coordinare in testo unico le proprie disposizioni con quelle della legge del 1865 e delle altre che l'avevano modificata, a tanto si provvede col T.U. 10 febbraio 1889, n. 5921.La legge 11 luglio 1894, n.287, contiene una norma (art.9), che stabilisce una maggiore durata (anni 6) dei consigli comunali, prescrivendone la rinnovazione per metà ogni 3 anni e dispone che anche il Sindaco rimanga in carica per un triennio.La legge 29 luglio 1896, n.346 ( Di Rudini) dispone l'elezione dei Sindaci da parte di tutti i consigli comunali confermando la durata triennale della carica del Sindaco. Il T.U. del 4 maggio 1898, n. 164 risulta modificato, rispetto a quello precedente del 1889, soltanto nella parte procedurale elettorale delle norme riguardanti il Sindaco ed in alcune disposizioni finanziarie.Il T.U. del 21 maggio 1908, n. 269 (Governo Giolitti) non apporta sostanziali modifiche alle disposizioni già presenti nelle leggi precedenti.Il T.U. del 4 febbraio 1915, n.148 risulta uguale a quello precedente, salvo che per qualche modifica relativamente alla materia elettorale. Infatti esso recepisce le modifiche introdotte con la legge del 30 giugno 1912, n.665, che ammette all'elettorato attivo tutti i cittadini (maschi) di almeno 30 anni di età, anche se analfabeti, e quelli, tra i 21 e i 30 anni, aventi alcuni titoli di capacità o di censo.
Il R.D. 30 dicembre 1923, n.2839 , su progetto dell'on. Bonomi, attua la soppressione degli organi elettivi , comunali e provinciali, apportando modifiche al T.U. del 1915. Le nuove disposizioni graduano l'ingerenza governativa sull'attività comunale, in rapporto all'importanza del Comune, e ampliano la competenza della Giunta municipale e della Deputazione provinciale, e le facoltà dei Sindaci e dei presidenti provinciali. Si amplia la possibilità di contrarre mutui, si sopprimono pareri di collegi locali non ritenuti necessari, si semplifica la procedura della revisione dei conti.La legge del 4 febbraio 1926, n.237 attua l'introduzione di una magistratura unica- il podestà- di nomina regia, che sostituisce gli organi elettivi (sindaco, giunta, consiglio). Il podestà dura in carica 5 anni e può essere trasferito da un Comune all'altro della Provincia. La introduzione dell'istituto podestarile è attuata dapprima nei comuni fino a 5.000 abitanti e successivamente, col R.D.L.3 settembre 1926, n.1910, è estesa a tutti i Comuni senza, però, la possibilità di trasferimento del podestà per i Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti o capoluoghi di provincia.Per questi ultimi può essere anche nominato un vice podestà ( o due per i Comuni con più di 100.000 abitanti) ed è resa obbligatoria la Consulta con un numero di membri variabile da dieci a quaranta, secondo l'entità demografica del Comune.Con tali cambiamenti viene completamente sostituito il sistema delle elezioni con quello della nomina dall'alto, attribuita spesso in base a benemerenze di partito. Di conseguenza viene a cessare ogni concreto collegamento tra l'elemento popolare e la sua espressione amministrativa, affidata a funzionari del regime e viene ad instaurarsi un sistema di statalizzazione degli enti minori.Il R.D.L. 23 ottobre 1925, n.2113 istituisce il servizio ispettivo e prescrive il giuramento di fedeltà al regime per gli impiegati dei comuni e delle province.Il R.D.L. 17 marzo 1927, n.383, conferisce al Governo pieni poteri per una revisione generale delle circoscrizioni comunali, da attuarsi entro il 31 marzo 1929, venendo così soppressi o riuniti vari Comuni.La legge 27 dicembre 1928, n.2962, provvede alla riforma dell'ordinamento contabile e finanziario dei Comuni, con il potenziamento dei poteri di controllo tutorio sulle spese e sui bilanci, spettanti alla Commissione per la Finanza locale.Il D.L. 17 agosto 1928, n.1953, introduce il nuovo stato giuridico dei segretari comunali, in base al sistema della statalizzazione, completato poi, successivamente, in modo più organico, col R.D. 21 marzo 1929, n.371.
Il T.U. 3 marzo 1934, n.383, apporta notevoli modifiche alle norme anteriori. Tra di esse: l'estensione a tutti i comuni del controllo prefettizio sulle deliberazioni; la durata di 4 anni della carica podestarile che può essere ottenuta solo se in possesso di un titolo di studio minimo della scuola media superiore; la sospensione del podestà e l'eliminazione dell'istituto di trasferimento del podestà; l'attribuzione al prefetto della facoltà di istituire le consulte nei Comuni con meno di 10.000 abitanti; la soppressione dell'azione popolare.
Il R.D.L. 4 aprile 1944, n.11, in seguito alla caduta del fascismo, disciplina l'amministrazione dei Comuni, in attesa di poter tornare al sistema elettivo. Tale D.L. dispone che ogni Comune ha un Sindaco e una Giunta municipale la quale esercita anche le competenze spettanti al Consiglio a norma del T.U.1915; sindaco ed assessori vengono nominati dal prefetto che ha facoltà di revocarli in caso di inadempienza a doveri d'ufficio.Il D.L. 1 febbraio 1945, n.23, estende il diritto di voto alle donne e, successivamente, col D.L.L. 7 gennaio 1946, n.1 vengono dettate le norme per la ricostruzione delle Amministrazioni comunali su base elettive, come riportate già nel T.U. del 1915. Detto D.L.L. n.1 stabilisce che ogni comune ha un consiglio, una giunta e un sindaco, modificando in parte la composizione dei Consigli e delle Giunte, ovvero aumentando il numero dei membri nei comuni con maggiore popolazione.La successiva legge 24 febbraio 1951, n.84, (Norme per la elezione dei consigli comunali) lascia al consiglio comunale di stabilire il numero degli assessori, rispetto alla composizione della Giunta municipale. Con l'articolo unico della legge 22 marzo 1952, n.173, vengono modificate le norme per l'elezione del Sindaco, per la quale occorre la presenza della metà più uno dei consiglieri in carica. La legge 23 marzo 1956, n. 136, in modifica del T.U. 1915, stabilisce il ritorno al sistema del numero fisso degli assessori municipali.
Tutte le suddette norme sono state, poi, rifuse nel T.U. per la elezione dei consigli comunali, approvato con D.P.R. 16 maggio 1960, n.570. La gestione finanziaria dei comuni era stata nel frattempo regolamentata da due disposizioni fondamentali il cui impianto normativo, ritoccato con successive aggiunte e modificazioni, è parzialmente confluito nell'attuale ordinamento comunale: si tratta del testo unico per la finanza locale, emanato con regio decreto 14 settembre 1931 n. 1175, e del testo unico del 3 marzo 1934 negli articoli attinenti alla materia. Il comune è titolare di una funzione di carattere strumentale di primaria importanza perché tesa ad ottenere i mezzi necessari al conseguimento dei suoi fini pubblici, ossia l'applicazione e la riscossione delle imposte, delle tasse e dei tributi. Le imposte comunali possono distinguersi in dirette e indirette. Le imposte dirette comprendono: le sovrimposte, consistenti in addizionali rispetto alle imposte statali che i comuni hanno la facoltà di introdurre, entro i limiti stabiliti dalla legge, sui fabbricati e sui terreni; l'imposta sulle industrie, commerci, arti e professioni, che si applica a coloro che esercitano un commercio, un'arte o una professione da cui traggono un reddito soggetto all'imposta di ricchezza mobile; l'imposta di patente, che è applicata ai redditi non accertati per l'imposta di ricchezza mobile ed è commisurata alle classi in cui si suddividono i titolari dei redditi; l'imposta di famiglia, che i comuni hanno la facoltà di stabilire, in alternativa all'imposta sul valore locativo e dietro autorizzazione della Giunta provinciale amministrativa, in base alla ricchezza della famiglia desunta da proventi di qualsiasi natura; l'imposta sul bestiame, commisurata sul valore medio di alcune specie animali (equini, ovini, caprini e suini) tenendo conto del reddito ricavabile dal bestiame. Le principali imposte indirette sono rappresentate dalle imposte di consumo, applicabili con aliquote diverse su una vasta gamma di generi, e dall'imposta sul valore locativo, adottata per la casa di abitazione e commisurata al valore dei locali.
Per quasi cinquanta anni, dopo il ripristino nel 1946 degli organi rappresentativi, l'ordinamento comunale si è fondato pressoché esclusivamente sulle disposizioni emanate con i testi unici del 1915 e del 1934. Con la Costituzione repubblicana, approvata con deliberazione dell'Assemblea costituente in data 22 dicembre 1947, si fissano i principi inerenti al nuovo ordinamento dei Comuni e delle Province, unitamente a quelli riguardanti gli altri enti territoriali, le Regioni. Un intero capitolo della Carta costituzionale, il V, con 20 articoli, dal 114 al 133, è dedicato alla configurazione della struttura amministrativa dei comuni, imprimendo al principio dell'autonomia locale un valore determinante, in senso qualificatorio dello Stato.
A partire dal 1990 sono state approvate una serie di norme tendenti ad accentuare l'autonomia legislativa di comuni e province e a semplificare gli ordinamenti istituzionali e finanziario-contabili relativi a tali enti. La legge 8 giugno 1990 n. 142, contemporaneamente all'affermarsi delle istanze di trasparenza e partecipazione del privato all'attività procedimentale, ha apportato rilevanti modifiche al quadro preesistente, stabilendo un nuovo assetto dei rapporti tra Stato, Regione, ed autonomie locali (Comuni, Province, comunità montane). L'art. 2 qualifica il comune come ente territoriale di base - cui è attribuita autonomia finanziaria e statutaria - che rappresenta e cura gli interessi della comunità locale, promuovendone lo sviluppo. La legge ha assegnato ai comuni un'ampia autonomia statutaria e regolamentare, disponendo la procedura per l'approvazione dello statuto da parte del consiglio comunale e prescrivendo la sua adozione entro il 12 giugno 1991. Lo statuto rappresenta l'atto normativo fondamentale per il funzionamento, l'organizzazione e la gestione delle attività e delle competenze del comune, le forme di collaborazione con la Provincia, le forme di partecipazione popolare e di accesso ai documenti. Dopo l'approvazione da parte del consiglio, la legge prevedeva che lo statuto fosse sottoposto all'esame dei Comitati regionali di controllo (CO.RE.CO.), organo con funzioni di controllo preventivo di legittimità sugli atti comunali previsto dall'art. 130 della Costituzione. La legge di revisione costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 ha abrogato tale articolo con l'intento di rafforzare l'autonomia degli enti locali.
Altre rilevanti innovazioni introdotte dalla L.142/90 sono la possibilità di realizzare collaborazioni tra i Comuni, attraverso convenzioni e accordi di programma, nonché di stipulare accordi di diritto privato; la gestione di servizi pubblici locali attraverso la figura della azienda speciale o tramite società per azioni. Con la legge 25 marzo 1993 n. 81 sono state rinnovate le norme relative all'elezione del sindaco e del consiglio, prevedendo la nomina della giunta da parte del sindaco e definendo con nuovi criteri le funzioni attribuite ai tre organi. Per garantire una maggiore stabilità ai governi locali, la legge ha disposto l'elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini, affidandogli la responsabilità dell'amministrazione del comune e assicurandogli, attraverso la giunta, un collegio di collaboratori di fiducia da lui nominati e, tramite il consiglio, il sostegno alle sue proposte e al suo operato. Tale trasformazione è conseguente al nuovo ordinamento organizzativo dei comuni, con la distinzione tra le funzioni di scelta, programmazione, indirizzo e controllo di competenza degli organi di governo e quelle di gestione e di attuazione demandate ai soggetti dell'organizzazione operativa, dirigenti e responsabili dei servizi. La legge 15 maggio 1997 n. 127 ha rafforzato l'autonomia organizzativa dei comuni con le disposizioni relative al personale, alla dirigenza, ai segretari comunali e con la semplificazione delle procedure e delle documentazione. Ulteriori modifiche sono state apportate all'ordinamento del 1990 con le leggi 30 aprile 1999 n. 120, sull'elezione e la durata in carica degli organi degli enti locali fissata definitivamente in cinque anni, e 3 agosto 1999 n. 265, con le disposizioni in materia di autonomia e di ordinamento.Il superamento della disciplina del 1990 rendeva pertanto necessaria una nuova sistemazione della materia.
Con il decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, è stato approvato il "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali", che ha provveduto a coordinare e riscrivere le disposizioni contenute in oltre quaranta leggi, abrogando tra le altre la L. 142/90, la l.265/1999 e il T.U. del 1934, in un testo unitario che stabilisce l'organizzazione, gli organi, le disposizioni relative al personale, al bilancio e al sistema finanziario e contabile di comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane, unioni di comuni e consorzi.
Infine, la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, entrata in vigore il 9 novembre, ha riformato il titolo V - parte seconda della Costituzione apportando modifiche rilevanti al testo unico del 2000. La legge ha stabilito che i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni sono enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione. L'art. 118 dispone che le funzioni amministrative siano attribuite ai comuni a meno che, per assicurarne l'esercizio unitario, non siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato. L'articolo successivo fissa i principi generali che regolano l'ordinamento finanziario: i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e dispongono di risorse proprie. La legge ha riservato alla legislazione esclusiva dello Stato, oltre a materie quali la politica estera, i rapporti con le confessioni religiose e l'organizzazione amministrativa statale, anche la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. Nella formazione e adeguamento dello statuto comunale, affidato interamente alla potestà regolamentare dei comuni, è stabilito che i consigli debbano tener conto, per quanto si riferisce all'elezione, composizione e funzionamento degli organi di governo, dei principi generali espressi dalla Costituzione e delle regole stabilite in materia dalla legislazione statale. L'adozione e l'adeguamento dei regolamenti per il funzionamento degli organi rappresentativi devono in definitiva rispettare i principi fissati dalla legge e dallo statuto che assicurano l'autonomia garantita dalla Costituzione.
(Da Lombardia Storica, Le istituzioni storiche del territorio lombardo - Civita, profilo generale "comune (1859-[1971]")
L. A. Lucchi - C. Cundari - M. E. Marinelli, agosto - dicembre 2005
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