L'istituzione di archivi notarili pubblici nella province pontificie fu stabilita da Sisto V, nell'ambito del suo disegno di riorganizzazione degli assetti istituzionali dello Stato, con la costituzione "Sollicitudo pastoralis officii" del 1° agosto 1588. Antecedentemente, era prassi seguita quasi ovunque che gli atti notarili fossero conservati dal notaio che li produceva e, alla sua morte, dagli eredi o da un altro notaio, di norma quello che succedeva nell'ufficio. Questo passaggio non avveniva in modo arbitrario, ma era necessario il consenso del consiglio generale della città. Ogni comune, nei propri statuti, stabiliva le proprie regole in materia di tenuta di archivi notarili.
Il successivo "Bando sopra l'osservanza dell'ordinazioni dell'archivii eretti da N. S. Sisto V in tutte le città, terre e luoghi mediate e immediate soggetti alla S. Sede apostolica", emanato dal Camerlengo, cardinale Enrico Caetani il 12 settembre 1588, chiarì che l'obbligo dell'istituzione degli archivi vigeva per le città, mentre per le "Terre, Castelli e luoghi" era lo stesso archivista a decidere della erezione o meno di essi.
[espandi/riduci]Relativamente alla tenuta degli archivi, una delle più importanti norme introdotte dal bando era costituita dall'obbligo, per tutti i notai, di consegnare, all'archivista competente per territorio, copia autentica, entro quindici giorni, di ogni atto rogato. L'esibizione in archivio riguardava anche le polizze e le altre scritture private, ma queste, diversamente dalle copie, una volta registrate in un libro a parte, venivano poi restituite all'esibitore.
All'archivista dovevano essere consegnati dagli eredi dei notai defunti o dai loro successori tutti i protocolli e tutte le altre scritture attinenti in qualunque modo al suo lavoro di notaio.
Gli archivisti, da parte loro, erano obbligati a tenere un registro nel quale dovevano essere descritti tutti gli atti che venivano presentati in archivio, con l'annotazione dei nomi dei notai che li esibivano.
L'archivista poteva eseguire la copia di un atto soltanto se il notaio fosse morto o nel caso particolare in cui l'atto originale fosse andato smarrito, essendo, come si è detto, conservata copia di ogni atto nell'archivio.
I comuni erano obbligati ad ospitare l'archivio in una stanza nel palazzo della loro residenza.
Gli archivi notarili erano posti sotto il controllo di un prefetto o presidente degli archivi, designato dal Papa tra i Chierici della Camera Apostolica, il quale avrebbe dovuto nominare e inviare annualmente (in seguito ogni tre anni) un visitatore nelle varie sedi in cui erano stati istituiti archivi notarili, al fine di controllare il rispetto delle norme: tra queste l'esposizione del bando a stampa e della tavola con i nomi di tutti i notai che esercitavano nella zona.
Le regole imposte da questo bando non furono sempre rispettate; in particolare, l'obbligo della presentazione delle copie fu spesso evaso e fu necessario, nel corso degli anni, emanare bandi che riconfermassero gli obblighi dei notai e le norme sulla tenuta degli archivi. Vennero, perciò, emanati il "Bando generale e nuovi ordini sopra gli archivi dello Stato Ecclesiastico" del cardinal camerlengo Annibale Albani, datato 25 agosto 1721, seguito da un analogo bando pubblicato il 1° giugno 1748 dal cardinale camerlengo Silvio Valenti.
Durante il periodo francese si ebbero concentrazioni di archivi nei capoluoghi di dipartimento, ma, dopo la Restaurazione del 1815, il 31 maggio 1822, Pio VII emanò un motu proprio "Sulli notai ed archivi" nel cui preambolo si sosteneva che, come l'esperienza aveva dimostrato, se l'eccessiva diffusione degli archivi notarili in ogni piccolo centro poteva soddisfare, per l'accessibilità, la popolazione del luogo, dall'altra non garantiva la buona conservazione degli archivi perché non sempre si riuscivano ad individuare locali adatti. D'altra parte l'eccessiva concentrazione era in grado di garantire la conservazione, ma rendeva difficile la consultazione per la distanza di molti paesi dal capoluogo. Pio VII cercò, quindi, di trovare un soluzione intermedia, decidendo di fissare gli archivi nelle sedi di delegazione e legazione, nelle città di governo distrettuale e nei paesi di residenza dei governatori, con l'eccezione dell'archivio di Bologna che rimaneva concentrato nella città. Si ribadiva che i comuni, nei quali erano istituiti gli archivi, dovevano fornire i locali e gli scaffali per ospitarli, rimanendo ad essi la proprietà della documentazione. Come compenso, i comuni eleggevano l'archivista a vita tra i notai del circondario, anche se l'elezione doveva essere approvata dal prefetto degli archivi. Era vietato al comune di dare in appalto la gestione dell'archivio, che era stata permessa nel passato.
Il notaio doveva avere compiuto ventiquattro anni. I notai di Roma, che avevano uno status particolare, potevano rogare in tutto lo Stato.
Dopo il 1822, dunque, molti archivi furono concentrati, così come prevedeva il motu proprio, ma non tutti quelli che la legge prescriveva, perché molti furono conservati "per grazia", su richiesta delle comunità.
Nelle province dello Stato che rimasero assoggettate alla sovranità del papa dopo il 1861 (corrispondenti all'attuale Lazio), questo assetto rimase in vigore fino alla caduta del potere temporale (1870).
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